Bella Napoli, Marcianise, Caserta

* Grazie di cuore a Caterina Vesta, alle/i ragazze/i che hanno partecipato all’incontro, a Umberto Riccio, Alessio Strazzullo, Cinzia Massa 🙂
** Per quanto mi voglia bene, e me ne voglio, non sono ancora arrivato al culto della personalità e dunque mi sarebbe piaciuto molto pubblicare gli interventi e le domande delle ragazze, ma molto di loro sono minorenni e la cosa avrebbe comportato un surplus di burocrazia non indifferente. Il montaggio di Alessio Strazzullo ha cercato di limitare i danni e per il resto “noi speriamo che ce la caviamo”.

Una giornata particolare

bellanapoli_enakapata5.30 a.m.
Inutile stare ancora a rigirarsi da una parte e dall’altra, la nottata è stata partcolarmente  travagliata, prima o dopo ci riuscirò a non farci più caso, tanto vale fare le cose con calma, ma sì, persino con lentezza, l’appuntamento con Alessio e Cinzia è alle 8.15 a Campi Flegrei, non c’è fretta.

6.20 a.m.
Denti, doccia, una botta ma proprio solo una botta con il phone, i capelli super corti sono mitici, jeans, maglietta e scarpe, le scale che mi portano giù fino al corso, il bar, cornetto pasta sfoglia crema e amarena e poi la madre di tutti i caffé, come ogni mattina, chiacchiere cortesi con il barista, due minuti al tavolino giusto il tempo di una partita a dama con l’i-phone, funicolare in salita, scale sempre scale fortissimamente scale, perché sì, abito in un posto meraviglioso ma solo fino a quando gli dei dellle gambe continueranno a vegliare su di me, e sono a casa again.

7.05 a.m.
Denti, via la maglietta, messa su la camicia e anche la giacca, 6 copie di Rione Sanità e una di Bella Napoli nello zaino e si parte, prima tappa La Feltrinelli Express della Stazione Centrale, compro altre 6 copie di Rione Sanità, 5 le porterà Cinzia, la sera abbiamo una presentazione a Marcianise e speriamo di venderne un pò. Sì, non ve l’ho detto ancora, ma i nostri amici Caterina Vesta, Umberto Riccio, Vera Tartaglione, con l’associazione Amici del Libro, in occasione della Festa dei Lettori hanno organizzato per la mattina un incontro con le studentesse (ci sarà anche uno studente uno, Michele) dell’ISISS G.B. Novelli di Marcianise, per il primo pomeriggio la lettura recitate da alcune pagine di Pinocchio a cura della compagnia teatrale Personae, a seguire la presentazione di Rione Sanità in collaborazione con l’Associazione Progreditur e la Pro Loco Marcianisana.

8.19 a.m.
Arrivo a Campi Flegrei con qualche minuto di ritardo, ma per una volta la colpa non è della metropolitana. È che alla Feltrinelli Express ho perso tempo per la mia carta di credito che si è smagnetizzata, io che mi sono innervosito un bel po’ al pensiero di cominciare la settimana in banca, sì mi sono sentito molto vicino ad Angelo M., uno dei protagonisti di Bella Napoli, quasi mi venivano i brufoli sulle braccia per il disappunto. Della serie anche gli impicci non vengono da soli mi sono dimenticato di tirare fuori la mia tessere Feltrinelli e mi sono perso anche lo sconto, anzi no, perché la cassiera, molto gentile, dopo aver chiesto le autorizzazioni del caso ha annullato l’operazione di pagamento precedente e mi ha fatto pagare di nuovo caricandomi i punti sulla carta. Ora voi direte “mamma mia come sei pignolo” e invece no, è che mi da molto fastidio fare tardi e sto spiegando perché è successo. Infatti Alessio ci ha provato a farmi notare il ritardo, sperava di rifarsi delle mezzora di ritardo che fa lui, e invece no, anche perché Cinzia non era ancora arrivata. In realtà abbiamo fatto in tempo a farcela una bella risata, lui che protestava perché non è vero che fa tardi anzi è molto preciso, ma è durata neanche un minuto, il tempo che la Toyota Aygo di qualunque colore purché fosse nera ha voltato l’angolo e siamo saliti.

9.10 a.m., minuto più minuto meno
Siamo a Marcianise, bisogna scegliere il bar per fare colazione. “Ecco fermiamoci qui”, “no-oo, troppo modello discoteca”; “proviamo qui”, “non c’è posto per parcheggiare”; “ecco, guarda quello sulla sinistra”, “è chiuso”, “questo ha il caffè Passalacqua, non voglio sapere niente, ci fermiamo qui”, “va bene va bene, tanto bisogna fare sempre come dici tu”. Azz., sempre come dico io, lasciamo perdere va, che è meglio. Entriamo, e alla macchina del caffè c’è il mio amico F., ci siamo conosciuti più di 25 anni fa al Bar Mexico, alla Ferrovia, incredibile. Abbracci, strette di mano, “che ci fai qua”, “che ci fai tu”, “due cornetti, due caffè e una spremuta di arancia”. Sì, Alessio non ha voluto niente da mangiare, “ho già fatto colazione”, “anche io – gli dico”, “si ma tu sei un caso a parte”. Cinzia un po’ mangia, un po’ ridacchia, un po’ sorseggia il caffè.

9.50 a.m.
Siamo a scuola, a riceverci Caterina Vesta, la prof . mia amica che ideato e diretto l’iniziativa a scuola. Alessio si è portato macchina fotografica – cinepresa, cavalletto, varie ed eventuali, l’evento merita, e poi secondo lui per imparare a fare bene una cosa la devi fare, non la puoi solo studiare. Dite che ha ragione?, lo penso anche io, Cinzia poi su queste cose qua è capace di parlare giornate intere, ma oggi siamo qui per Bella Napoli e perciò non tergiversiamo.
Caterina ci presenta la Preside (sì, dirigente scolastico non mi piace, sa troppo di impresa, e la scuola per me non è un’impresa, e per voi?), a lei tra qualche minuto toccherà introdurre la discussione e lo farà con parole e concetti non banali, tenendo insieme il valore della lettura, il valore della cultura e il valore del lavoro.
Nel frattempo l’aula si è riempita di ragazze, le sedie non bastano, mi prende un’emozione forte, il vantaggio dell’età è che si riesce a gestirla, in parte, poi ci pensa Caterina a mettermi a mio agio, a ritornare sul percorso che ci ha portato i ragazzi, lei, mi, qui ora: la lettura di Bella Napoli durante le vacanze estive, la discussione in classe, la ricerca degli articoli della Costituzione che parla del lavoro, a partire dall’Art. 1., l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, una delle domande non a caso riguarderà questo punto e la poco coerenza tra quello che c’è scritto nella Costituzione e la realtà, l’indicazione di scegliere una delle storie che compongono il libro e di riassumerla, poi di commentare il libro nel suo complesso, infine di cercare in famiglia, tra gli amici, i conoscenti, storie di persone che si sono particolarmente distinte per il loro attaccamento al lavoro, e di fare tutto questo cercando di tirare fuori ciò che ciascuna di loro veramente pensa.
Propongo di soffermarci ancora su questo percorso e di farlo con un esempio, quello di Luisa B., classe quarta, che ha scelto di riassumere la storia di Emma F., ha scritto il suo commento, ha scritto la domanda che mi voleva fare e soprattutto ha scritto una pagina e mezza di foglio protocollo su Domenico B., suo padre, sul suo rapporto con il lavoro. Un pezzetto piccolo ve lo voglio far leggere, quello dove Luisa scrive “Mio padre ha cominciato a lavorare molto piccolo, essendo nato negli anni 70, dove le famiglie in genere erano molto numerose e i soldi non bastavano per sfamare tutti. Infatti lui è il penultimo di nove figli, mio nonno e mia nonna già facevano molti sacrifici lavorando nei campi. Posso dire che a causa di queste condizioni ha fatto moti sforzi per gestire al meglio sia il lavoro che la scuola, perché non è che lavorando ha abbandonato gli studi, questo no. Comunque ha lavorato fin da quando aveva 11 anni, la mattina andava a scuola e il pomeriggio a lavorare nei campi. In seguito ha trovato altri lavori, facendo un po’ di tutto, come il meccanico, ha fatto il tabacco, ma solo per poco tempo, perché già allora c’era molta difficoltà a trovare un lavoro stabile”.
Mi fermo qui, anzi no, perché vi devo dire ancora tre cose: la prima è che la storia di Luisa, come tutte le altre, prima o dopo le pubblicherò su questo blog; la seconda è che questa storia non l’ho scelta per un motivo particolare, più bella, più appassionante, più qualcosa, ma soltanto perché è la prima del fascicolo fotocopiato che custodisco gelosamente a casa mia; la terza è che come molti di voi sanno un lavoro del genere ha un valore culturale e pedagogico enorme, permette a queste ragazze che sono investite ogni giorno da storie di veline e compagnia bella, anzi brutta, di riflettere sulla fatica, sull’impegno, sulle persone che hanno intorno, sui sacrifici che sono necessari perché loro possano vivere con decoro, avere una vita migliore di quella avuta dai genitori, avere più opportunità, poter studiare invece che lavorare a 11 anni. Una volta il mio amico Luca De Biase ha scrritto che ci sono insegnati che sono degli eroi, io dico degli eroi normali, non aggiungo altro, Caterina è mia amica, il peggio che posso fare è mettermi qui a farle mille complimenti.

0.10 p.m.
Sto mettendo la firma e scrivendo qualche parola sulle copie del libro delle ragazze. Sono stravolto dalla fatica e dall’emozione, Cinzia, Caterina e Alessio mi prenderanno in giro per tutto il resto della giornata, ma va bene così.

Il pomeriggio l’altra bella avventura con la presentazione di Rione Sanità, ma questo ve lo racconto da un’altra parte.

La Napolitudine di Antonio Volpe

Sorrento, 6 Agosto 2011

Cari amici,
ho raccolto ieri nei commenti del dopo-serata molti giudizi positivi. Napolitudine era nata, come tante altre nostre iniziative – che definisco in senso buono “provocazioni culturali” – come una scommessa: portare libri ed autori in piazza, in mezzo ai vicoli di Sorrento, fuori dalle aule, dalle biblioteche, era davvero un azzardo.
Voi, Vincenzo, Cinzia e i tanti altri Autori della rassegna, avete accettato la sfida, vi siete messi in gioco con noi, vi siete lanciati con noi nel vuoto “senza rete” ed il pubblico ha gradito: ha applaudito la vostra sincerità, ha simpatizzato per la vostra humanitas che avete trasmesso tramite le parole ed il sorriso.
Le storie che ci avete raccontato erano “straordinarie” perchè erano storie di persone comuni; oggi la TV ci mostra del sud Italia e di Napoli in particolare solo storie di persone” eccezionali”, in senso positivo o in quello negativo (l’eroe sportivo o il boss della camporra) dimenticando il 99% fatto di persone “normali”. Come recita il sottotitolo di “Bella Napoli”, ci avete fatto conoscere le “storie di lavoro, di passione e di rispetto” di chi ogni mattina non si veste da supereroe ma da artigiano, insegnante, operaio, scienziato, barista, perito chimico e così via. Di chi con la propria normalità mantiene accesa la speranza e rende meno evanescente la possibilità di cambiare. Persino quando non lo sa”.
Ecco, ieri sera il pubblico ha apprezzato questo messaggio e si è creato quel feeling che costituisce il segreto del successo di una iniziativa come questa. Aii tanti amici che seguono la nostra rassegna letteraria consiglio la lettura di questi due libri (Rione Sanità e Bella Napoli) che sono in vendita presso la Bottega d’arte di Luciano Russo in Via Tasso; invitiamo poi i giovani a leggere questi libri perchè vi troveranno tanti modelli di vita, tanti percorsi esistenziali, tante storie di “ordinario coraggio e di straordinaria umanità”, altro che gossip di veline, calciatori o imprese criminali di gente senza valori.
Grazie Vincenzo, grazie Cinzia, per averci ricordato che esiste un’altra Napoli, un’altra Italia!
A Presto rivederci!
Antonio

Quando vendi un libro

Oggi, 26 luglio, anno di grazia 2011, ore 6.30 p.m..
Il treno A.V. ci ha portato a Napoli, Stazione Centrale, con circa 20 minuti di ritardo, ma con i chiari di luna di questi giorni causa incendio a Roma Tiburtina Cinzia and me ci sentiamo come se fossimo arrivati in perfetto orario, anzi meglio.
Uno sguardo alla tabella dei treni in arrivo per capire a che ora arrivama Francesco, il figlio di Cinzia, ed entriamo alla Feltrinelli Express dove Francesco, il direttore, sta parlando con una ragazza che chiede un consiglio su un libro di Camilleri da regalare alla madre.
Per la serie “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che io mi faccia i fatti miei” dico alla ragazza “Il re di Girgenti. Fidati, è un libro straordinario”. La ragazza mi guarda, accenna un sorriso tra il divertito e il grato, e mi dice “mi fido, vada per Il re di Girgenti”, mentre Francesco il direttore con il suo “Buonasera prufessò” un pò mi saluta, un pò mi sfotte, un pò si prende il tempo necessario per verificare se il libro c’è.
Il libro ci sta, ma non si trova, in un posto dove passano migliaia di persone al giorno può accadere per tante ragioni che un libro sia difficile da trovare, ad esempio perché un lettore interessato l’ha preso dallo scaffale dei romanzi e leggendo leggendo la quarta di copertina e magari anche un pò del primo caitolo l’ha lasciato sullo scaffale delle guida da viaggio. Naturalmente tempo qualche minuto e il libro sarebbe venuto fuori, soprattutto se non ci fossi stato io da quelle parti.
Cosa c’entro io? C’entro, c’entro, perché ho approfittato del buoco temporale che si è creato e ho detto alla ragazza “se proprio non si trova il libro di Camilleri può comprare il mio libro, Bella Napoli, che pure è molto bello anche se non come quello del grande crittore siciliano”.
Come è andata a finere l’avrete intuito già: la ragazza ha comprato Bella Napoli, le ho scritto anche una dedica per la madre, e sono stato contento come una Pasqua.
A proposito, non vi ho detto ancora che quando leggerete Rione Sanità vedrete che l’ultimo capitolo comincia così:
“Il re di Girgenti è uno stupendo romanzo di Andrea Camilleri, uno di quei libri così belli ma così belli che a un certo punto ti dimentichi che lui è Camilleri e tu invece no e pensi “ma perché non l’ho scritto io?”.
Debbo la sua scoperta alla mia amica Concetta Tigano che me lo ha regalato ai primi di aprile appena arrivato a Catania per la presentazione del mio libro Bella Napoli.
E non vi ho detto neanche che quando sono tornato a casa sulla mia pagina Facebook ho trovato questa citazione postata sempre da lei, la mia amica Concetta: Quando vendi ad un uomo un libro, non gli vendi 12 once di carta, un pò di inchiostro e della colla, gli vendi un’intera nuova vita. (Christopher Morley)”.
No no, non scherzate, se non credete a me ci sta Cinzia come testimone, Concetta con Cinzia and me alla stazione non c’era. Dite che è soltanto una coincidenza? Rispondo può darsi, ma aggiungo che personalmente alle coincidenze credo poco. E voi?

Come una cosa normale

sorrento6aAngelo M., sì, proprio lui, uno dei protagonisti delle storie di Bella Napoli, nel corso della presentazione a Sorrento nell’ambito della rassegna Napolitudine, ha aggiunto un nuovo piccolo grande capitolo alla sua storia, raccontando che all’inizio della sua avventura in Inghilterra, nell’azienda leader mondiale delle “vending machines” lui e i suoi colleghi ingegneri napoletani fossero definiti “mozzarella cheese”, senza razzismo per carità, giusto un pò di presa in giro, quanto basta per evidenziare che loro erano si colleghi, ma in fondo colleghi di serie A2 se non proprio di serie B, e di come invece qualche tempo dopo, grazie allo sviluppo del prodotto reso possibile dal lavoro di Angelo e del suo team, un giorno solo apparentemente uguale agli altri il responsabile del team inglese cancellò quello che aveva scritto alla lavagna e chiese ad Angelo di illustrare il processo che li aveva portati a raggiungere quei risultati senza precedenti.
Questioni di lavoro, di dignità, di rispetto. Questioni di riscatto, come ha detto ieri sera Cinzia mentre parlavamo di Rione Sanità, della presentazione di stasera a Villaggio Coppola, di questo nostro tentativo di raccontare Napoli attraverso le persone normali, persone che non amano definirsi eroi, persone come quelle che partecipano alle iniziaive di CleaNap e scrivono su un pezzo di lenzuolo “noi non siamo angeli, siamo solo gente stanca di questa schifezza”.
Sì, con Cinzia ce lo siamo detti ancora ieri sera, ammesso e non concesso che ce la faremo, ce la faremo grazie alle persone normali, quelle che concretamente e metaforicamente puliscono l’uscio della proprio casa perché sanno che solo così la loro città sarà pulita. Persone come Angelo, come Vittoria, come Salvatore, come Gina. In fondo se Cinzia and me continuiamo ad andare in giro raccontando le loro storie è un po’ perché ci speriamo e un po’ perché mentre speriamo ci piace portare il nostro piccolissimo mattoncino alla costruzione di una Napoli migliore, la Napoli che si riscatta puntando sulla cultura e sul lavoro, ogni giorno, in maniera semplice, come una cosa normale. Ci vediamo domani, che vi racconto stasera come è andata.

Il Genio dei Napoletani

di Marcelle Padovani
traduzione di Irene Gonzalez

padovaniNapoli continua a sedurre l’immaginario europeo. Questa città di 963.000 abitanti, che custodisce gelosamente lo statuto di “capitale della cultura italiana” è oggi devastata dal problema di rifiuti. Tonnellate e tonnellate di sacchetti della spazzatura invadono ciclicamente le sue strade, i ratti sono i re delle vie e la camorra ingrassa con i rifiuti (gestendone trasporto e smaltimento).

Ma Napoli è anche altro: un luogo estremo, che la rende la più grande e affascinante città del Mare Nostrum, il Mediterraneo, l’ultimo bastione dell’Occidente di fronte al Maghreb e all’Oriente. Un luogo estremo che genera senza sosta esperienze estreme. Alcune sono al limite con la disperazione (come nel caso del movimento assolutamente nuovo “Pizza no pizzo”, la pizza senza la percentuale che reclama la mafia locale).

Altre sono particolarmente significative da un punto di vista sociologico. E’ il caso di quelle che riguardano il problema del lavoro.

Si parla molto nel mondo occidentale, e con ragione, di lavoro “precario”, ma a Napoli, il lavoro, precario lo è stato sempre, sempre a inventare, a costruire, a difendere, a organizzare…Lo testimonia un libro appassionante, “Bella Napoli”, firmato Vincenzo Moretti e edito da Ediesse. Il suo sottotitolo dice tutto: “Storie di lavoro, di passione e di rispetto”.

Si tratta di una serie di racconti in prima persona di vite che girano quasi ossessivamente attorno al lavoro, dalla maestra di scuola all’artigiano, all’operaio, al barman, passando per lo scienziato. Sono racconti di persone che non si sono mai arrese, che hanno oltrepassato con fatica e ostinazione l’inefficienza, l’indifferenza e la superficialità della pubblica amministrazione. Degli eroi dei nostri giorni, la cui storia potrebbe sorprendere quelli che non conoscono altro che la Napoli dei mandolini, dei pini, del Vesuvio e della pizza, ma che in realtà testimoniano lo straordinario laboratorio creativo che questa città è e resta – che si tratti di trasmissione dei saperi, che si tratti di ricette di sopravvivenza, che si tratti di scoprire nuove strade verso la modernità.

Napoli è dimora di una città appasionante, sorprendente per la sua ricchezza e la sua creatività, che è candidata a capitale mondiale della cultura nel 2019. Nonostante i ratti e i rifiuti. Grazie alla genialità dei Napoletani.

Qui trovate l’articolo di Marcelle Padovani

Ciò che va quasi bene … non va bene

E’ stato il prof. Francesco Di Pace, nel corso della presentazione a Siano di Bella Napoli, a ricordare il motto che fa da titolo a questo post e a spiegare che era era scritto sulle porte delle Botteghe degli artigiani Michelangioleschi del legno e del ferro.
Su Facebook potete leggere la sua nota dove è pubblicata anche questa bellissima fotografia, e dove il nostro caro Prof. ricorda questa parte della discussione, che comunque riporto anche nel commento sottostante con le considerazioni e gli interventi che la nota stessa ha suscitato.
Da parte mia intendo sottolineare la bellezza di questo modo di dire, Ciò che va quasi bene … non va bene, e lo straordinario approccio al miglioramento continuo che esso sottende.
Sì, mi piacerebbe molto che la prima discussione vera su questo blog avvenisse attorno a questo tema, dunque aspetto i vostri commenti, le vostre riflessioni, i vostri interventi.
Buona partecipazione.
foto_di_pace

Fravécature

Mercoledì scorso a Siano la presentazione di Bella Napoli ha avuto inizio così. Poi sono accadute tante altre cose belle, che anche quelle poi prima o poi ve le racconto, ma voi intanto godetevi questa bellissima poesia recitata da Luigi. A proposito, alla fine Luigi mi ha detto che se avesse avuto un professore come me la scuola non l’avrebbe lasciata. Lui l’ha detto sinceramente, e sarei vigliacco a non ammettere che mi ha fatto anche piacere, ma la verità è che quando si è ragazzi non sempre si capisce fino in fondo il valore delle cose, e poi, come diceva il maestro Alberto Manzi, non è mai troppo tardi. Per favore ce lo dite voi a Luigi che fa ancora in tempo che se glielo dico io sempre io solito prof. rompi b.?
Buona visione.

Santa Maria Verta

Incredibile ma vero, Santa Maria è il suo vero nome di battesimo, quando me lo ha detto persino Santina m’è sembrato un nome normale, me lo sono immaginato come un argine, come l’eroico tentativo di non rimanere schiacciata sotto cotanto peso, pensate, una bambina e poi una donna e poi un’insegnante e poi una moglie, una mamma e una nonna che si chiama Santa Maria Verta, mica una cosa da poco in un Paese come il nostro, roba che al confronto Peppe ‘a Lenta, Totonno tre palle e Gennaro topolino e persino Shrek e Rita Pavone, come siamo stati battezzati io e Cinzia dai ragazzini del Rione Sanità, sono bazzecole, quisquiglie, pinzillacchere.
Del resto quando hai a che fare con Santina il confine tra il credibile e l’incredibile è molto labile, è come vendere 100 copie di Bella Napoli a Varese e farla sembrare la cosa più normale del mondo e non dite che non c’entra niente perché le 100 copie a Varese lei le ha vendute veramente. Ecco, direi che lei riesce a fare cose che tu diresti che non si possono fare, per la verità anche quando ti porta in giro con la sua automobile, ma questo è un altro discorso, che magari sono io che sto diventando paranoico quando sto in auto.
Sì, qui io intendo parlare della sua prorompente ospitalità. Della pastiera e della parmigiana di melenzane. Dell’amicizia che non è solo il suo modo di prendersi cura di te ma il modo in cui anche le sue amiche e i suoi amici si prendono cura di te. Del divano, al quale prima o dedicherò il post più bello della mia vita. Delle chiacchiere senza se e senza ma, perché lei, come te, è come quelle radio sempre accese che qualcosa ti dicono sempre. Dei ricordi e delle radici e del clan dei calabresi che se stai ancora un giorno assieme a lei ti convinci che Varese è stata fondata da loro, anzi no dai cosentini, anzi no da quelli di Cittadella che tanto lì intorno trovi paesini di 5 mila anime che almeno mille arrivano proprio da lì. Di Gigi che sta sempre lì che tu lo vedi proprio di fianco a lei e ti viene voglia di salutarlo, di Venere che non è il pianeta ma la figlia perchè anche lei e Gigi in fatto di nomi non è che si siano fatti mancare niente, dei nipoti che te li vedi zompettiare intorno anche se non li hai visti mai. Della cena e del suo vorrei invitare anche il tuo amico Enzo Galietti e la moglie che dici posso farlo?, ma certo che puoi farlo, al massimo ti dice di no. Delle lacrime, delle risate, e persino delle scale che continua a salire e a scendere, su e giù, cento volte al giorno, mentre ti spiega che lei le scale non le può proprio fare.
Sì, Santina Verta è tutto questo, è anche di più, molto di più. Santina è l’emozione che cammina, è il rispetto che si è conquistata con il suo lavoro e la sua umanità, è la voglia di emancipazione di una ragazza di Calabria che le sue rughe se l’è guadagnate tutte, una a una, con passione, impegno, coraggio, amore.
Grazie Santina, è una gioia averti come amica.

La Bella Napoli di Gerardo Navarra

navarra“Non amo gli eroi”, dichiara Voltaire, “provocano troppo rumore nel mondo”.
Ecco quello che più mi ha colpito di “Bella Napoli”, il libro di Vincenzo Moretti, la contrapposizione della vita quotidiana alla dimensione eroica.
La dimensione della vita quotidiana che entra prepotentemente nella riflessione sociale.
Vincenzo Moretti, a mio dire, incarna alla perfezione quello che Alvin W. Gouldner chiama il “sociologo riflessivo”, cioè colui che ha come compito peculiare quello di tentare di focalizzare il significato della vita quotidiana come base della teoria, ma lasciamo stare la sociologia, perchè come sociologo lo conosco bene.
Voglio soffermarmi invece sul “narratore” Moretti, sulla sua capacità di scrittura, fluida e scorrevole che fa della semplicità la sua arma letale, perchè accattivante e coinvolgente.
In quale scaffale lo si trova in libreria? Sociologia o letteratura? Bhè, io ne creerei uno per chi come lui ha la capacità di unire la narrazione alla didattica, per chi possiede il gusto di leggere e quello di imparare, perchè Vincenzo Moretti è un “sociologo-narratore o narratore sociologo”, fate voi, leggete il libro e decidete.
Ad un certo punto Vincenzo scrive – le storie sono molto belle, quasi come le persone che le hanno raccontate, e perciò se il libro non funziona la colpa è solo mia -, ho riflettuto molto su questo passaggio e devo dire che, oltre che a possedere una notevole capacità empatica, è dotato di una sensibilità che nasce da lontano, nasce da quei valori radicati nelle passate generazioni, nasce da uno studio che è la controparte dell’approssimazione e della freneticità odierna, la quale, provoca solo disinformazione e appiattimento.
Le storie sono bellissime, sono vive, e sono grandi proprio per la loro semplicità e nello stesso tempo per il loro eroismo, si, eroismo fatto di passione, impegno e lavoro, quel lavoro quotidiano, lavoro laborioso, intenso, lavoro alla base della propria esistenza e motivo di orgolio per chi vive una “normale” e non “banale” vita quotidiana, perchè, leggendo “Bella Napoli” ci si accorge che la vita quotidiana non è mai banale, anzi, è il fulcro della nostra esistenza e dei nostri sentimenti.
“Bella Napoli” è composto da dodici storie che io ho gustato come una bevanda saporita, con dodici sorsi. Tutti squisiti.

La Bella Napoli di Antonio Fresa

“Bella Napoli” che cosa ci suggerisci? Racconti per il futuro
Ci sono quelli che non possono stare lontani; quelli che pensano di fuggire e quelli che fuggono: “Bella Napoli” è una domanda o un’esclamazione, una speranza o una possibilità?
L’unica posizione esclusa è quella dell’indifferenza. Milioni di parole sono state infatti spese sulla nostra città, la sua storia, i suoi mali.
Ed ecco ora un libro di Vincenzo Moretti, semplice e complesso a un tempo, Bella Napoli, (Ediesse, 2011): dodici storie di napoletani, “di chi ogni mattina non si veste da supereroe ma da artigiano, insegnante, operario, scienziato, barista, perito chimico e così via. Di chi con la propria normalità mantiene accesa la speranza e rende meno evanescente la possibilità di cambiare. Persino quando non lo sa”.
L’autore, Vincenzo Moretti – sociologo, responsabile della sezione Società, culture e innovazione della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, insegna Sociologia dell’organizzazione nell’Università di Salerno – ha raccolto queste dodici storie di lavoro, di passione e di rispetto per mostrare una Napoli della quotidiana applicazione al fare, della fedeltà a se stessi e alla propria identità.
Perché storie e non analisi o ricostruzione storica o sociologica?
Puntuale giunge la prefazione di Moretti – un misto fra la riflessione e il racconto – a ricordarci che: “un racconto non è solo un semplice susseguirsi di eventi, ma dà forma al trascorrere del tempo, indica cause, segnala conseguenze possibili” (Richard Sennet 2002).
Pagina dopo pagina, scoperta dopo scoperta, seguendo il rapporto con la città e con il lavoro di dodici napoletani, si è chiamati a un confronto che si fa sempre più ampio, più nazionale, più epocale.
Napoli sembra racchiudere in sé, ancora una volta nella storia, contraddizioni e tensioni che non sono solo sue e che addirittura anticipano e pongono al centro le questioni del domani.
Quale questione appare oggi essere più rilevante, più drammatica e più imprescindibile di quella del lavoro, della dignità del lavoro, in un paese come l’Italia che “non ha più una visione condivisa del proprio futuro….esattamente perché alle vie del lavoro e della partecipazione ha preferito quelle della ricchezza senza capacità, del comando senza responsabilità, dell’arrivismo senza regole, della notorietà senza merito”? Le vite dei singoli si intrecciano, si raccontano a creare un tessuto che ci riguarda tutti. Le esperienze di dodici napoletani ci aiutano a porci le domande giuste.Antonio Fresa
Pubblicato su “Il Mediterraneo”, diretto da Diego Penna

Spostare il limite

Il bellissimo post di Luca De Biase sul prossimo futuro di Nòva, bellissimo per tante cose ma prima di tutto per lo spirito, l’approccio, la tensione che lo anima, sì, come diceva Totò “signori si nasce” e il mio amico Luca, modestamente, “lo nacque”, finisce così:
«Che succederà poi? Nella vita ci si adatta, si fa quello che è possibile. Ma il limite del possibile può essere spostato. E, nel nostro tempo, ce n’è molto bisogno.»

L’ultimo racconto di Bella Napoli, quello di Beppe D.V., artigiano, finisce così:
«Qualsiasi cosa si faccia, ritorno agli insegnamenti di mio padre e mia madre in questo senso qua, va fatta bene, sempre con la consapevolezza dei propri limiti, sempre con quella determinazione e quella voglia di spingere che sono necessarie per superarlo in avanti, il limite. Sì, perché il limite si sposta con noi, non è fisso. Il segreto in fondo è tutto qui: vivere con questo senso del limite e con questa necessità, questa urgenza, di spostarlo in avanti, anche se “avanti” è anch’esso solo una parola, un modo di dire. Non vorrei sembrare esagerato, ma io in questa storia del limite e del suo spostamento ci vedo il senso della vita di un uomo. La vita di un uomo nel divenire.»

Forse non c’entra niente, forse sono io che continuo a cercare connessioni anche dove non ci sono, o forse invece c’entra, forse non è un caso che tutti e due, il giornalista e il restauratore, amano parole come “bottega”, “artigiano”. Sì, io dico che c’entra, ma anche se non c’entra mi è piaciuto raccontarlo.

Ciao Eduardo !

di Giovanni de Rosa

Giovedì sera 2 giugno, Festa  della Repubblica, su invito di Santina un’amica insegnante , ho partecipato  alla presentazione di un libro, fatta dall’autore stesso.  Te ne parlo con una nota in FB, perché sono certo che comunque lo avrei fatto a voce, se avessimo potuto incontrarci: spesso infatti abbiamo parlato di libri nei nostri pochi ma intensi incontri. E ricordo bene il piacere che spesso provavamo nello  scoprire interessi comuni , condivisione di giudizi e valutazioni su di un libro o sull’autore . Ricordi gli ultimi libri che ci siamo scambiati ? E’ stato in occasione  degli  auguri di Natale 2010: tu mi hai regalato “Preferisco il Paradiso” di Pippo Corigliano ed io ti ho regalato “Ogni cosa alla sua stagione “ di Enzo Bianchi.  Di quei momenti porterò sempre nel cuore la luce che ti illuminava, mentre parlavi di Enzo Bianchi  e mi raccontavi del piacere che avevi provato nel leggere  un’altra sua opera  , “il pane di ieri “, ma soprattutto  non dimenticherò mai come ti brillavano gli occhi mentre, scorrendo qualche pagina di “ Ogni cosa alla sua stagione” , posavi lo sguardo sul titolo di qualche capitolo: ”i giorni del presepe” , “i giorni della memoria”, “la cella sempre con me”, ecc… Ti piacque molto la mia scelta , perché per  te come per me, personaggi come Enzo Bianchi, sono stati sempre fari , stelle ad orientarci lungo il cammino !
Edu, mi sono dilungato e sono andato fuori tema:  non è infatti  del Priore di Bose e dei suoi scritti che oggi  voglio parlarti , ma di un altro autore, lontano da lui per cultura, per stile e scelte di vita, ma  vicinissimo a lui  per  l’attenzione agli uomini, al loro lavoro, alle loro storie, alle loro sofferenze .
Il libro ha come titolo “ Bella Napoli. Storie di lavoro, di passione e di rispetto”, l’autore è Vincenzo Moretti napoletano  e sociologo, che insegna  sociologia dell’organizzazione  nell’Università di Salerno.
La mia amica lo conosce bene, io molto meno ( pur avendo scoperto di avere a Salerno amici comuni ) ma mi è bastato sentire il titolo del libro e il fatto che Moretti insegnasse a Salerno per attrarmi fatalmente: quella serata non me la sarei mai persa. “Bella Napoli” è una raccolta di 12 racconti o, meglio,  12 “avventure di terroni” . Biografie vere , di persone che l’autore ha conosciuto e intervistato personalmente, 12 biografie belle e che fanno più ” bella” Napoli  , pur nelle sue mille contraddizioni.  Moretti nell’arco di poco meno di due ore volate via come il tempo , brevissimo ,che io e te abbiamo passato insieme, ci ha offerto, anzi affrescato  qualcuna  di quelle 12 vite, e l’ha fatto con l’amore di una madre che racconta i sacrifici, l’onestà , la generosità e anche qualche tic dei figli, e lo ha fatto con la profondità  narrativa di un sociologo, che è anche un affascinante comunicatore e un bravo narratore. Tra le storie che ha scelto per presentarci il suo libro c’è quella di “ Antonio M. “di Secondigliano, ferroviere .  E’ stato un  caso ?
Edu , io non credo al caso, come te preferisco pensare alla Provvidenza. Comunque quella sera non mi sono perso una parola della narrazione del prof Moretti, non mi è sfuggita neppure la più banale  sfumatura e così mentre il prof. pronunciava  “Antonio”, le mie orecchie sentivano “Eduardo”e io ( benché non ti abbia mai visto in abiti da lavoro) oltre le sue parole, vedevo te fiero ed finemente autoironico, con in testa il tuo bel  “berretto rosso” .
La  storia di Antonio, mi ricorda un po’ la tua storia. Te ne leggo qualche riga, in particolare quella che riguarda il suo trasferimento a Bologna , ti piacerà: Io l’ho letta e riletta … mi sembra  di leggervi cose che tu mi hai raccontato. Ascolta: “… per me è stato normale fare i concorsi e però allo stesso tempo partire per cominciare a lavorare, magari in attesa di lavori migliori, per crearmi un’autonomia economica, per sentirmi libero, avere un mio spazio,una mia casa, dei miei rapporti. E poiché questo non era possibile, allora come oggi, a Napoli, diciamo che mi sono dato la libertà di scegliere Bologna perché è una città che mi sembrava  – ritengo ancora oggi  di aver fatto la scelta giusta – potesse rispondere alle esigenze che avevo, sia perché non era molto grande, sia, soprattutto, perché aveva nel suo dna , e ancora per certi aspetti le è rimasta ,la cultura della solidarietà, della collaborazione, insomma la cultura dell’altro.
Ricordo che anch’io all’inizio mi stupivo che non ci fossero carte o comunque cose lasciate in mezzo alla strada o nei cestini o nei carrelli della spesa, ma quello che davvero ti colpiva era proprio il concetto dell’altro, il concetto del  vivere sociale, il rispetto del lavoro e di chi lavora che, come dicevo, ancora oggi c’è, anche se negli ultimi anni si sta perdendo. Per fare un esempio, quando ho iniziato a lavorare in ferrovia, giù nel meridione c’era ancora una cultura per cui il più giovane magari portava la borsa al capotreno, c’era questa forma di sudditanza che invece a Bologna non è mai esistita. A Bologna la discriminante era tra chi aveva cultura , un’etica del lavoro, e chi non ce l’aveva. Anche le persone che facevano i lavori più umili erano rispettate, avevano  l’orgoglio di sentirsi lavoratori e la consapevolezza di essere rispettati”.

Eduardo, ti ricordi quando mi parlavi della tentazione che hai avuto da giovane di chiedere un trasferimento al sud ? Ascoltando il racconto di Antonio mi sono ricordato delle motivazioni che ti fecero desistere,motivazioni che si riconducono tutte agli stessi valori di laboriosità, dignità, rispetto per gli altri, di cui parla Antonio. Ti ricordi  della pena con cui mi parlavi di un tuo collega e caro amico che, proprio  a causa di un trasferimento e delle prevaricazioni  che subiva da un  suo diretto superiore, si ammalò di depressione ?  Eduardo sono questi sprazzi di conversazione che abbiamo avuto nei rari e preziosi incontri che tu mi hai donato  ad aver fissato nel mio animo i tuoi lineamenti morali, prima che quelli fisici,  in modo indelebile.
Ti ho annoiato ? Spero proprio di no, sono anzi convinto che sarebbe piaciuto anche a te, da ex ferroviere , da salernitano orgoglioso della sua origine e da uomo ricco di valori e rispetto per gli altri, partecipare a quella “presentazione” . Ma soprattutto spero che non ti sia annoiato, perché abbiamo ancora tante cose da dirci, ed io ho ancora tante cose da imparare da te, dalla tua vita trasparente e sobria ( sicuramente influenzata anche dall’esperienza giovanile che abbiamo avuto), dai valori che hai incarnato e che oggi vivono nella tua bella famiglia.
Ciao Edu, ti scriverò ancora pensandoti con affetto, tu però vigila anche su di me, come farai con la tua famiglia.

P.S. Eduardo ci ha lasciati per tornare alla Casa del Padre, domenica 29 maggio u.s.

La Bella Napoli di Gianni Tomo

Bella Napoli, una raccolta di storie di gente comune che con la propria “normalità” mantiene accesa la speranza di un cambiamento.
Questo è il commento con il quale la casa editrice propone il libro di Moretti sul proprio sito web e non si poteva cogliere migliore momento storico per l’uscita di questo nuovo lavoro dell’autore, un sociologo sempre più affermato tra le letture che ritroviamo tra quelle che potremmo definire “dotte” e scientifiche piuttosto che, come egli stesso pur ambirebbe, tra romanzi e qualcosa per i momenti più “leggeri”.
Eppure il libro di Moretti riesce a coniugare con indiscussa gradevolezza ed esperienza i due momenti: la riflessione più attenta alle dinamiche sociale e di contesto che affliggono la nostra città, così come allo spaccato umano dei vari protagonisti, con il coinvolgimento del lettore alla vivacità delle loro storie.
Diventano quindi naturali le riflessioni su quali dinamiche possano mai determinare situazioni e motivazioni per le quali tanti napoletani all’estero riescono ad incidere nel tessuto organizzativo cosa che invece, qui a Napoli, altri napoletani altrettanto intraprendenti, non riescono a fare.
Ma la città è unica e di tutti, accomunandosi in una unica immagine con classe dirigente e popolo, determinandone una ingiusta confusione che male si concilia con gli attori delle varie storie, con la loro volontà di inventarsi sempre qualcosa di nuovo oppure di riuscire ad incidere anche nei lavori di quella routine che spesso determina svogliatezza sintomo di trascuratezza e poi di abbandono sempre più frequentemente abbinata all’immagine della città.
Tante le storie di voler rifuggire da quelle facili attrattive esercitate dagli ambienti malavitosi che certamente ben poco hanno a che spartire con la maggioranza dei napoletani accomunati nella medesima immagine; storie dalle quali un insegnante, un barista o uno scienziato che, senza essere “marziani” e “straordinari”, tutti i giorni vincono la personale sfida di normalità e di riuscire nel proprio ruolo e che nulla hanno a che fare con criminalità e spazzatura sempre più facile etichetta di una città e di tutti i suoi abitanti.

Lettera su Bella Napoli

Ciao Vincenzo,
non so se ti ricordi di me perché è passato un po’ di tempo dalla piacevolissima discussione fatta insieme ai nostri ragazzi al bar di Piazza Vanvitelli.
Ti scrivo perché, reduce dalla lettura del tuo ultimo lavoro, volevo trasmetterti la mia gratitudine per le emozioni e le idee che ha catalizzato.
Le emozioni, per le magnifiche storie di persone che sento più che mai vicine e che so non essere delle eccezioni. Si sono inserite in un momento della mia vita in cui, tra mille dubbi e lacerazioni, sto chiedendo alla mia azienda di rimandarmi a Napoli dopo ventisette anni qui a Berlino. So per certo che tra le mille difficoltà che ciò potrà comportare ci sono almeno due buoni motivi per farlo, avvicinarmi ai miei due figli e ritrovare le dodici (cento, mille) persone di Bella Napoli.
Le idee. Qui la faccenda si complica. Sai quella sensazione che si prova quando senti di essere vicino a qualcosa, qualche concetto, ma non riesci ad esprimerlo in maniera chiara. Emergono frammenti da organizzare in un disegno.
Le singolarità che Napoli riesce ad esprimere sono enormi; alcune persone, nel fare quello che fanno, nel lavoro come nella vita, ci mettono quel qualcosa in più che gli viene dall’essere nate e vissute li. Un mix incredibile di fantasia, passione, capacità, spirito di sopravvivenza e amore. Ma tutto ciò nasce dal caos, dal disordine e produce effetti mediamente bassi lasciati nel contesto che li ha generati, talvolta eccellenti se inseriti in un contesto organizzato.
In altri paesi e culture prima si definisce l’obiettivo, poi se ne fa un progetto, si organizzano i processi e poi si chiamano le persone che meglio si attagliano ai rispettivi ruoli. Quindi tutti si sentono a proprio agio, danno il meglio e faticano meno. Ma chi nasce in questa organizzazione delle vita non ha nessuna necessità di sviluppare capacità in più. Questo concetto è un po’ la trasposizione sociologica dei quanto espresso ne “il caso e la necessità” di J. Monod per la biologia. E quindi? Non so di preciso … Ma se provassimo a fregare il meccanismo?
Una volta nel mio lavoro mi è capitato di “fregare il Sistema” per riuscire a realizzare un progetto che altrimenti mi sarebbe stato negato. Non mi sarebbe venuto dietro nessuno se fosse stato esplicito; ho dovuto agire nei meandri dell’organizzazione per creare una cosa in sordina e poi dare la visibilità una volta che la cosa ha avuto successo. Se non avessi fatto in quesot modo l’nvidia, la prevalenza dell’interesse personale rispetto a quello del team, chiusura mentale, ne avrebbero impedito la realizzazione così come successo mille altre volte in mille altre realtà.
La cosa fu paradossale ma estremamente educativa; forse si potrebbe cercare di fare lo stesso, ma a Napoli i Sistemi da fregare sono almeno due: il Sistema sociale e quello politico-malavitoso.
Per il primo bisognerebbe lasciare che le singolarità continuino a svilupparsi per effetto del processo naturale ed ambientale della città, per poi inserirle in un meccanismo virtuoso di interazione con altre culture, con un progetto di sviluppo organizzato ma non palese: una sorta di incubatore interculturale che si aggreghi intorno alle nostre singolarità (pensa gente che viene a Napoli da ogni parte del mondo per creare cose e fatti nuovi). Mi viene in mente quello che fa la natura con i sistemi, agendo in modo da massimizzare l’entropia. L’uomo con la sua opera agisce mettendo ordine, quindi abbassando l’entropia, ma è solo questione di tempo e la natura si impone creando disordine, quindi aumento di entropia. Se i nostri concittadini li trapiantiamo altrove, in un sistema organizzato, tempo una generazione e diventano come gli altri. Se li lasciamo “fermentare” nello stesso brodo culturale che li ha generati e li mettiamo a contatto con altri magari si sviluppano bacini di eccellenza. Bisogna ragionarci ma non è impossibile.
Per il secondo non saprei come fare ma bisognerebbe evitare che politica e malavita si accorgano che Napoli ed i napoletani possono cambiare la realtà delle cose e creare sviluppo altrimenti è fatale che il tutto viene bloccato. D’altra parte sono consapevole che il potere economico è esattamente in quelle mani e quindi ogni cosa passa da li. Ma continua a venirmi in mente la mia esperienza di prima: io i soldi me li sono fatti dare dall’azienda ma non si sono accorti di cosa stavo facendo fino in fondo; dopo, a cosa fatta, sapessi in quanti sono stati pronti a prendersene merito.
I soldi, anche se non molti, sono certo che circolano e tra fondi della comunità e quelli di investitori privati potrebbero essere sufficienti a lanciare il “modello fantasma ad entropia massima”, per provarne l’efficacia o quanto meno la possibilità.
Mi scuso per le mie farneticazioni ma te le ho trasferite tal quali mi sono venute in mente leggendo il libro e ti ringrazio ancora molto per ciò che rappresenta questo tuo lavoro.
Un abbraccio.
Federico P.