Ciao Eduardo !

di Giovanni de Rosa

Giovedì sera 2 giugno, Festa  della Repubblica, su invito di Santina un’amica insegnante , ho partecipato  alla presentazione di un libro, fatta dall’autore stesso.  Te ne parlo con una nota in FB, perché sono certo che comunque lo avrei fatto a voce, se avessimo potuto incontrarci: spesso infatti abbiamo parlato di libri nei nostri pochi ma intensi incontri. E ricordo bene il piacere che spesso provavamo nello  scoprire interessi comuni , condivisione di giudizi e valutazioni su di un libro o sull’autore . Ricordi gli ultimi libri che ci siamo scambiati ? E’ stato in occasione  degli  auguri di Natale 2010: tu mi hai regalato “Preferisco il Paradiso” di Pippo Corigliano ed io ti ho regalato “Ogni cosa alla sua stagione “ di Enzo Bianchi.  Di quei momenti porterò sempre nel cuore la luce che ti illuminava, mentre parlavi di Enzo Bianchi  e mi raccontavi del piacere che avevi provato nel leggere  un’altra sua opera  , “il pane di ieri “, ma soprattutto  non dimenticherò mai come ti brillavano gli occhi mentre, scorrendo qualche pagina di “ Ogni cosa alla sua stagione” , posavi lo sguardo sul titolo di qualche capitolo: ”i giorni del presepe” , “i giorni della memoria”, “la cella sempre con me”, ecc… Ti piacque molto la mia scelta , perché per  te come per me, personaggi come Enzo Bianchi, sono stati sempre fari , stelle ad orientarci lungo il cammino !
Edu, mi sono dilungato e sono andato fuori tema:  non è infatti  del Priore di Bose e dei suoi scritti che oggi  voglio parlarti , ma di un altro autore, lontano da lui per cultura, per stile e scelte di vita, ma  vicinissimo a lui  per  l’attenzione agli uomini, al loro lavoro, alle loro storie, alle loro sofferenze .
Il libro ha come titolo “ Bella Napoli. Storie di lavoro, di passione e di rispetto”, l’autore è Vincenzo Moretti napoletano  e sociologo, che insegna  sociologia dell’organizzazione  nell’Università di Salerno.
La mia amica lo conosce bene, io molto meno ( pur avendo scoperto di avere a Salerno amici comuni ) ma mi è bastato sentire il titolo del libro e il fatto che Moretti insegnasse a Salerno per attrarmi fatalmente: quella serata non me la sarei mai persa. “Bella Napoli” è una raccolta di 12 racconti o, meglio,  12 “avventure di terroni” . Biografie vere , di persone che l’autore ha conosciuto e intervistato personalmente, 12 biografie belle e che fanno più ” bella” Napoli  , pur nelle sue mille contraddizioni.  Moretti nell’arco di poco meno di due ore volate via come il tempo , brevissimo ,che io e te abbiamo passato insieme, ci ha offerto, anzi affrescato  qualcuna  di quelle 12 vite, e l’ha fatto con l’amore di una madre che racconta i sacrifici, l’onestà , la generosità e anche qualche tic dei figli, e lo ha fatto con la profondità  narrativa di un sociologo, che è anche un affascinante comunicatore e un bravo narratore. Tra le storie che ha scelto per presentarci il suo libro c’è quella di “ Antonio M. “di Secondigliano, ferroviere .  E’ stato un  caso ?
Edu , io non credo al caso, come te preferisco pensare alla Provvidenza. Comunque quella sera non mi sono perso una parola della narrazione del prof Moretti, non mi è sfuggita neppure la più banale  sfumatura e così mentre il prof. pronunciava  “Antonio”, le mie orecchie sentivano “Eduardo”e io ( benché non ti abbia mai visto in abiti da lavoro) oltre le sue parole, vedevo te fiero ed finemente autoironico, con in testa il tuo bel  “berretto rosso” .
La  storia di Antonio, mi ricorda un po’ la tua storia. Te ne leggo qualche riga, in particolare quella che riguarda il suo trasferimento a Bologna , ti piacerà: Io l’ho letta e riletta … mi sembra  di leggervi cose che tu mi hai raccontato. Ascolta: “… per me è stato normale fare i concorsi e però allo stesso tempo partire per cominciare a lavorare, magari in attesa di lavori migliori, per crearmi un’autonomia economica, per sentirmi libero, avere un mio spazio,una mia casa, dei miei rapporti. E poiché questo non era possibile, allora come oggi, a Napoli, diciamo che mi sono dato la libertà di scegliere Bologna perché è una città che mi sembrava  – ritengo ancora oggi  di aver fatto la scelta giusta – potesse rispondere alle esigenze che avevo, sia perché non era molto grande, sia, soprattutto, perché aveva nel suo dna , e ancora per certi aspetti le è rimasta ,la cultura della solidarietà, della collaborazione, insomma la cultura dell’altro.
Ricordo che anch’io all’inizio mi stupivo che non ci fossero carte o comunque cose lasciate in mezzo alla strada o nei cestini o nei carrelli della spesa, ma quello che davvero ti colpiva era proprio il concetto dell’altro, il concetto del  vivere sociale, il rispetto del lavoro e di chi lavora che, come dicevo, ancora oggi c’è, anche se negli ultimi anni si sta perdendo. Per fare un esempio, quando ho iniziato a lavorare in ferrovia, giù nel meridione c’era ancora una cultura per cui il più giovane magari portava la borsa al capotreno, c’era questa forma di sudditanza che invece a Bologna non è mai esistita. A Bologna la discriminante era tra chi aveva cultura , un’etica del lavoro, e chi non ce l’aveva. Anche le persone che facevano i lavori più umili erano rispettate, avevano  l’orgoglio di sentirsi lavoratori e la consapevolezza di essere rispettati”.

Eduardo, ti ricordi quando mi parlavi della tentazione che hai avuto da giovane di chiedere un trasferimento al sud ? Ascoltando il racconto di Antonio mi sono ricordato delle motivazioni che ti fecero desistere,motivazioni che si riconducono tutte agli stessi valori di laboriosità, dignità, rispetto per gli altri, di cui parla Antonio. Ti ricordi  della pena con cui mi parlavi di un tuo collega e caro amico che, proprio  a causa di un trasferimento e delle prevaricazioni  che subiva da un  suo diretto superiore, si ammalò di depressione ?  Eduardo sono questi sprazzi di conversazione che abbiamo avuto nei rari e preziosi incontri che tu mi hai donato  ad aver fissato nel mio animo i tuoi lineamenti morali, prima che quelli fisici,  in modo indelebile.
Ti ho annoiato ? Spero proprio di no, sono anzi convinto che sarebbe piaciuto anche a te, da ex ferroviere , da salernitano orgoglioso della sua origine e da uomo ricco di valori e rispetto per gli altri, partecipare a quella “presentazione” . Ma soprattutto spero che non ti sia annoiato, perché abbiamo ancora tante cose da dirci, ed io ho ancora tante cose da imparare da te, dalla tua vita trasparente e sobria ( sicuramente influenzata anche dall’esperienza giovanile che abbiamo avuto), dai valori che hai incarnato e che oggi vivono nella tua bella famiglia.
Ciao Edu, ti scriverò ancora pensandoti con affetto, tu però vigila anche su di me, come farai con la tua famiglia.

P.S. Eduardo ci ha lasciati per tornare alla Casa del Padre, domenica 29 maggio u.s.

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Lettera su Bella Napoli

Ciao Vincenzo,
non so se ti ricordi di me perché è passato un po’ di tempo dalla piacevolissima discussione fatta insieme ai nostri ragazzi al bar di Piazza Vanvitelli.
Ti scrivo perché, reduce dalla lettura del tuo ultimo lavoro, volevo trasmetterti la mia gratitudine per le emozioni e le idee che ha catalizzato.
Le emozioni, per le magnifiche storie di persone che sento più che mai vicine e che so non essere delle eccezioni. Si sono inserite in un momento della mia vita in cui, tra mille dubbi e lacerazioni, sto chiedendo alla mia azienda di rimandarmi a Napoli dopo ventisette anni qui a Berlino. So per certo che tra le mille difficoltà che ciò potrà comportare ci sono almeno due buoni motivi per farlo, avvicinarmi ai miei due figli e ritrovare le dodici (cento, mille) persone di Bella Napoli.
Le idee. Qui la faccenda si complica. Sai quella sensazione che si prova quando senti di essere vicino a qualcosa, qualche concetto, ma non riesci ad esprimerlo in maniera chiara. Emergono frammenti da organizzare in un disegno.
Le singolarità che Napoli riesce ad esprimere sono enormi; alcune persone, nel fare quello che fanno, nel lavoro come nella vita, ci mettono quel qualcosa in più che gli viene dall’essere nate e vissute li. Un mix incredibile di fantasia, passione, capacità, spirito di sopravvivenza e amore. Ma tutto ciò nasce dal caos, dal disordine e produce effetti mediamente bassi lasciati nel contesto che li ha generati, talvolta eccellenti se inseriti in un contesto organizzato.
In altri paesi e culture prima si definisce l’obiettivo, poi se ne fa un progetto, si organizzano i processi e poi si chiamano le persone che meglio si attagliano ai rispettivi ruoli. Quindi tutti si sentono a proprio agio, danno il meglio e faticano meno. Ma chi nasce in questa organizzazione delle vita non ha nessuna necessità di sviluppare capacità in più. Questo concetto è un po’ la trasposizione sociologica dei quanto espresso ne “il caso e la necessità” di J. Monod per la biologia. E quindi? Non so di preciso … Ma se provassimo a fregare il meccanismo?
Una volta nel mio lavoro mi è capitato di “fregare il Sistema” per riuscire a realizzare un progetto che altrimenti mi sarebbe stato negato. Non mi sarebbe venuto dietro nessuno se fosse stato esplicito; ho dovuto agire nei meandri dell’organizzazione per creare una cosa in sordina e poi dare la visibilità una volta che la cosa ha avuto successo. Se non avessi fatto in quesot modo l’nvidia, la prevalenza dell’interesse personale rispetto a quello del team, chiusura mentale, ne avrebbero impedito la realizzazione così come successo mille altre volte in mille altre realtà.
La cosa fu paradossale ma estremamente educativa; forse si potrebbe cercare di fare lo stesso, ma a Napoli i Sistemi da fregare sono almeno due: il Sistema sociale e quello politico-malavitoso.
Per il primo bisognerebbe lasciare che le singolarità continuino a svilupparsi per effetto del processo naturale ed ambientale della città, per poi inserirle in un meccanismo virtuoso di interazione con altre culture, con un progetto di sviluppo organizzato ma non palese: una sorta di incubatore interculturale che si aggreghi intorno alle nostre singolarità (pensa gente che viene a Napoli da ogni parte del mondo per creare cose e fatti nuovi). Mi viene in mente quello che fa la natura con i sistemi, agendo in modo da massimizzare l’entropia. L’uomo con la sua opera agisce mettendo ordine, quindi abbassando l’entropia, ma è solo questione di tempo e la natura si impone creando disordine, quindi aumento di entropia. Se i nostri concittadini li trapiantiamo altrove, in un sistema organizzato, tempo una generazione e diventano come gli altri. Se li lasciamo “fermentare” nello stesso brodo culturale che li ha generati e li mettiamo a contatto con altri magari si sviluppano bacini di eccellenza. Bisogna ragionarci ma non è impossibile.
Per il secondo non saprei come fare ma bisognerebbe evitare che politica e malavita si accorgano che Napoli ed i napoletani possono cambiare la realtà delle cose e creare sviluppo altrimenti è fatale che il tutto viene bloccato. D’altra parte sono consapevole che il potere economico è esattamente in quelle mani e quindi ogni cosa passa da li. Ma continua a venirmi in mente la mia esperienza di prima: io i soldi me li sono fatti dare dall’azienda ma non si sono accorti di cosa stavo facendo fino in fondo; dopo, a cosa fatta, sapessi in quanti sono stati pronti a prendersene merito.
I soldi, anche se non molti, sono certo che circolano e tra fondi della comunità e quelli di investitori privati potrebbero essere sufficienti a lanciare il “modello fantasma ad entropia massima”, per provarne l’efficacia o quanto meno la possibilità.
Mi scuso per le mie farneticazioni ma te le ho trasferite tal quali mi sono venute in mente leggendo il libro e ti ringrazio ancora molto per ciò che rappresenta questo tuo lavoro.
Un abbraccio.
Federico P.